L’esilio di Kurt Lewin
Nella cultura e tradizione ebraica, l’istruzione e lo studio hanno sempre avuto un ruolo di primissimo piano. Potrebbe non essere un caso quindi che negli anni trenta a Berlino, prima dell’ascesa al potere nei nazionalsocialisti, una percentuale molto alta di medici, ricercatori, scienziati, avvocati e altri professionisti fosse di origine ebraica.
Tra questi vogliamo oggi presentarvi una figura ancora oggi fondamentale nel pensiero contemporaneo: Kurt Lewin. Originario dell’attuale Polonia, al tempo territorio prussiano, si trasferisce a 15 anni con la famiglia a Berlino, dove studia filosofia e psicologia, che si trovava allora appena agli inizi. Si concentra sui temi della percezione e dell’esperienza, dando un importante contributo alla scuola berlinese della psicologia della Gestalt.
Già nel 1932 (a luglio i nazisti prendono già il 37% dei voti, ma il presidente della repubblica Hindenburg riesce ancora ad opporsi alla nomina di Hitler), Kurt Lewin inizia a cercare contatti all’estero, e nel 1933, come tanti, tantissimi altri intellettuali ebrei e non (citiamo solo Albert Einstein, Thomas Mann, Bertold Brecht, Willy Brandt), va in esilio, negli Stati Uniti.
Qui continua il suo lavoro, concentrandosi sulla psicologia dei gruppi. La sua teoria più famosa viene ancora oggi utilizzata nei corsi di management e leadership in tutto il mondo. Definisce tre tipi di leader: autoritario, democratico e “laissez-fare”, individuando per ogni tipologia vantaggi e svantaggi, ma sottolineando alla fine il potenziale del leader democratico per lo sviluppo di idee creative nel team.
Ed è bello notare che oggi, a Berlino, lo stile di leadership democratica da lui promosso, incentrato sulla “interdipendenza positiva delle personalità e dell’ambiente entro cui queste personalità si muovono ed affermano”, viene vissuto con successo in centinaia di startups, famose per le gerarchie piatte e uno stile di collaborazione democratica e creativa. L’esilio è finito. Finalmente.