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Chi ha paura delle avanguardie?

Camminando lungo le strade della nostra Berlino vi sarà capitato di percepire come per sbaglio, distrattamente, delle forme graffiate, dei colori, un sapore agrodolce, un'intimità che vi ha fatto apprezzare improvvisamente la grandezza frammentaria di questa città catapultandovi direttamente al centro della sua anima. Ecco: si tratta esattamente di quel momento in cui vi sarà passato per la testa di "sentire Berlino"- che poi vuol dire capirla, apprezzarla, poterne parlare.


Ci riferiamo a quel nocciolo di identità presente al centro di ogni grande metropoli, che a Parigi ci immerge nel XIX secolo, a Roma ci risucchia nell'eternità di un passato greco-cristiano e a Berlino, beh, cos'è esattamente quel nocciolo a Berlino?


A noi di Berlincolor capita spesso di accompagnare i nostri ospiti in questo tipo di escursioni, che non sono solo topografiche ma innanzitutto simboliche ed esperienziali: in fin dei conti capire una città significa cogliere il suo pianto e la sua gloria ma soprattutto scoprirne le tracce nascoste e al tempo stesso immutate. Sì, proprio quelle sfumature che tutte assieme danno l'"anima di una città". Qui a Berlino quell'anima, quella "brezza che ti sbotta in faccia che due occhi soli non bastano", è il segno lasciato dallo spettro inesorabile dell'Avanguardia.


Berlino è la "città del XX secolo", si sente dire, o addirittura la "città del post-moderno". In parte non c'è dubbio che il Nazismo, la Guerra e poi la Germania divisa in due e poi ancora la ricostruzione, siano stati tutti eventi determinanti nella cultura odierna. I concetti della modernità politica, da quelli di violenza e conflitto a quelli di libertà e rivoluzione, si fondano e inscrivono nell'immaginario comune a partire proprio dalla storia di Berlino.


Furono tuttavia le avanguardie degli anni '20 a lasciare un segno indelebile: proprio qui, nella città dove arriveranno le dittature, le devastazioni e la sofferenza, prenderà la sua forma più coesa quel crocevia di intuizioni, esperienze e vitalità artistiche rivoluzionarie degli inizi del XX Secolo, ovvero il mondo delle avanguardie. Se è vero che i Manifesti delle grandi avanguardie novecentesche, come il Dadaismo o il Futurismo, vennero scritti altrove, è indubbio che quelle spinte trovarono proprio qui a Berlino la loro conformazione politica e sociale più completa.


Basti pensare al ruolo di un Wieland Herzfeld, fratello del più noto Helmut Herzfeld, curatore e pubblicista che iniziò subito dopo la Prima devastante guerra, lui per primo!, a far circolare materiali visivi e testuali in sintonia con quelle forti correnti di rottura estetica, fino alla inaugurazione di una delle prime mostre dedicate ai movimenti del periodo, segnata da un richiamo ai temi del no-sense dadaista e al fulcro della contestazione avanguardista, in cerca strenua della strada per polverizzare le strutture formali del "pensare moderno". Il fratello appunto, ribattezzato poi nell'esilio americano come John Heartfield, diventerà una delle leggende della grafica vignettista e dell'arte del collage.


Da quel circolo di intellettuali e provocatori usciranno le storie più brillanti del dadaismo quanto della Nuova Oggettività, tra cui Groszt, Georg Scholz, Otto Dix, Max Ernst per non parlare della casa editrice Malik che pubblicherà libri di Alfred Döblin, Heinrich Böll, Bertold Brecht, Kurt Tucholsky e molti altri contributi legati prevalentemente all'ideale (come del resto al partito) comunista. La Prima fiera internazionale dell'arte Dada del 1920, organizzata proprio da Wieland Herzfeld a Berlino, porterà a compimento la virulenza di quel movimento politico e sociale nella prima grande esposizione della plasticità dadaista. Forse sta proprio qui l'eccezionalità dell'avanguardia berlinese, nel suo essere stata crocevia e riflesso delle onde vibranti dei movimentismi europei.


Quella cultura pulsante che attirerà a Berlino Franz Kafka come anche Boris Pasternak rifletterà la sua vena ispiratrice in lungo e in largo nella Germania della Repubblica di Weimar: il complesso scolastico (1925-26) costruito dal maestro della Bauhaus tedesca Walter Gropius nella città di Dessau ne sarà l'ulteriore conferma.


Architettura Bauhaus, letteratura dis-impegnata, balletto voltairiano (il Cabaret Voltaire era il caffè dei dadaisti a Zurigo), teatro d'avanguardia, letteratura comunista, segnata dalla Rivoluzione dichiarata da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht dal portone dello Schloss (ora, a quasi cent' anni di distanza, in ricostruzione): tutto ciò troverà proprio a Berlino la sua definizione più epocale negli anni dell'ondata culturale rivoluzionaria, a cavallo della fine della Grande Guerra e la Crisi del '29.


In ballo vi era la possibilità di determinare un passaggio iperbolico, "in avanti", accettare insomma in maniera produttiva l'accelerazione della produzione, della ricchezza, della velocità stessa, possibilità espressa dalla pellicola documentaristica (poi diventata leggenda) di Berlino-Sinfonia di una grande città. Il sogno di Berlino, espresso dal crogiuolo avanguardista, era quello di essere la porta tra est ed ovest europeo, di segnare cioè l'avvento di una "nuova era", ben espresso dall' Angelus Novus di Walter Benjamin.


Quanta potenza, quanta energia, quanto rischio. E fu proprio qui forse, sul crinale di una ebbrezza intellettuale e collettiva, che iniziarono repentinamente ad emergere le prime incrinature: da una lato la sfiducia decadente di tanti intellettuali ancora realmente non ristabilitisi dal trauma devastante della Grande Guerra; dall'altra le masse, sì le masse! Mosse da istinti collettivi e messianici, le masse sfiduciate però anche da un certo modo intellettualistico e elitario di intendere il cambiamento. Sì le masse! Quelle che nel giro di pochi mesi sposteranno il loro voto a milioni da un centro politico indistinto al Partito nazista.


La comprensione dell'Avanguardia tedesca, quindi berlinese, ci colloca al fulcro di ogni crisi politica e sociale come luogo e possibilità del cambiamento, della rivoluzione positiva, del passaggio ad una "fase nuova" ma al tempo stesso rischio incommensurabile di generare uno strappo tra la tensione al divenire e l'irresistibile forza restauratrice di ogni volontà di potenza.


Avanguardia è rischio, ebbrezza, cambiamento come anche decadenza, rischio, salto nel buio.


Chi ha paura delle Avanguardie?






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